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TFR – Tasso da usura

Lug 28, 2023 (0) comment

Immagine che compare su Google quando si cerca "TFR"

I dipendenti stanno applicando un tasso da usura sull’importo del TFR accantonato presso il loro datore di lavoro!

Ovviamente la mia è una frase provocatoria, ci mancherebbe altro.

Vediamo di chiarire meglio il concetto

Nel 2022, a seguito della “fiammata” inflattiva per le note cause (guerra, ecc.), l’inflazione registrata è stata particolarmente elevata e la rivalutazione del TFR prevista per legge (pari al 75% del tasso di inflazione più l’1,5%) è stata complessivamente del 9,97%.
E il tasso di usura previsto? La banca d’Italia ha comunicato che per un mutuo ipotecario a tasso variabile il tasso è pari al 6,8375%.
Quindi se l’imprenditore ha utilizzato queste somme per fare degli investimenti produttivi ed un difficile accesso al credito ordinario potrebbe avere avuto una convenienza.

Viceversa se poteva avere linee di credito bancarie il tasso pagato sarebbe stato decisamente inferiore,
ancora peggio se con una buona dose di liquidità ha lasciato quelle somme in giacenza sul conto corrente o anche li ha investite in strumenti finanziari che hanno reso sicuramente meno.
Come si dice: quel che è stato è stato e non è possibile rimediare a quanto è successo nel passato. Si può però pensare al presente e al futuro per non commettere gli stessi errori.

Quindi cosa si può fare?

Una prima soluzione è quella di proporre ai propri dipendenti di pagare il TFR arretrato e quello che matureranno nei prossimi anni.
Questa soluzione potrebbe essere gradita ad alcuni che magari hanno qualche necessità urgente.
Per altri, che non ne hanno bisogno, potrebbe essere penalizzante in quanto la tassazione è del 23% (tranne che le spese mediche che è del 15% a scalare dello 0,3% dopo i 15 anni di contribuzione); aliquota che sale per anticipi superiori ai € 50.000,00.
La seconda soluzione è quella di “suggerire” ai propri dipendenti di versare il TFR maturando (ed eventualmente anche quello maturato) nella previdenza integrativa, conosciuta anche come previdenza complementare.
Non a caso ho utilizzato la parola “suggerire”. Infatti la decisione spetta esclusivamente al dipendente ed è obbligatoria per il datore se il dipendente ne fa richiesta.
Ma il dipendente per cambiare deve avere un interesse diretto; non penso che la motivazione di fare un piacere all’azienda in cui lavora sia sufficiente.
In effetti anche il dipendente ha delle motivazioni più che valide!
Una tassazione inferiore, prima di tutto dal momento che la tassazione massima applicata è del 15% che scende fino al 9% in base alla permanenza nella previdenza integrativa; mentre la seconda è che nel lungo periodo la previdenza complementare/integrativa ha reso più della rivalutazione del TFR, come si può vedere dall’immagine e nonostante un 2022 orribile sia per i titoli azionari e obbligazionari.

Fonte: La Repubblica

Alla luce di quanto sopra perché la diffusione della previdenza integrativa, pur in costante crescita (+5,4%), è ancora ancora inferiore al 60% come risulta dal calcolo dati forniti da COVIP e ISTAT

A mio avviso i motivi sono essenzialmente 2:

  • Il più importante è la scarsa informazione
  • il secondo, soprattutto nelle piccole medie imprese, una sorta di remora da parte dei dipendenti nel chiedere il TFR quasi per una fiducia non ancora completa da parte dei Clienti verso i soggetti.

Per ricevere maggiori informazioni, non esitare a contattarci.

Fu mio padre a iniziare l’attività di famiglia nel 1954 insieme a mia madre.

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